RIVEDERE LE STRATEGIE DEI PARTITI

Opera di Stefano Di Stasio
Dalle elezioni amministrative di ottobre arrivano segnali non trascurabili per le forze politiche presenti nello scenario nazionale. In particolare, un monito per i partiti del centrodestra, la coalizione fino a quel momento data universalmente per vincente, nella futura sfida delle elezioni politiche. Coalizione che esce assai malconcia dalle consultazioni di ottobre, soprattutto nei grandi centri dove si è votato. Sconfitta con margini assai ampi, al primo turno, a Milano, Napoli e Bologna, sconfitta nei ballottaggi di Roma e Torino, prevale nelle regionali della Calabria e nelle comunali di Trieste, proprio dove, rispettivamente, il candidato Presidente e il candidato Sindaco erano stati indicati da Forza Italia, da tempo, ormai, “Cenerentola” dell’alleanza, in termini di consenso, rispetto a Fratelli d’Italia e Lega. Eppure l’ormai “modesta” formazione berlusconiana si è rivelata più avveduta, nella scelta dei candidati alle posizioni apicali, rispetto ai due “giganti” Meloni e Salvini che, con i “civici”, hanno riscosso minor fortuna.
Una doccia fredda, dunque, per i due maggiori partiti del centrodestra, che può tuttavia rivelarsi utile, ai fini di accelerare un adeguato “tagliando”, sotto molteplici aspetti, comunicazione, strategie, rapporti interni alla coalizione, chiarezza di prospettive, selezione di candidature e classe dirigente. I candidati sindaci, nei grandi centri, sono stati scelti con modalità forse troppo frettolose e approssimative, sottovalutando l’entità della sfida. E non erano abbastanza competitivi, rispetto ai nomi messi in campo dalla coalizione avversa. Restano sullo sfondo, ma non troppo, altri fianchi scoperti della coalizione ormai a trazione Meloni – Salvini, come la scomoda posizione nei confronti del governo – Lega e Forza Italia, in maggioranza, Fratelli d’Italia fuori – le tensioni, anche competitive, legate a questa anomala condizione, tra i due principali partiti della coalizione stessa, una polemica troppo accentuata sugli oneri derivanti dalla certificazione verde per contenere il contagio da Covid. Se c’è una cosa che veramente ha funzionato nel nostro Paese, in questa fase drammatica, è stata la vaccinazione di massa e gli italiani, in larga maggioranza, si dimostrano riconoscenti verso il governo per i risultati raggiunti. Enrico Letta e il PD si sono mostrati, su questo, pienamente in linea con l’azione di Draghi e di Speranza e sono stati ampiamente premiati anche per questo dalle urne. Tra le ragioni dell’insuccesso del centrodestra potrebbe includersi, forse, anche una reazione troppo esasperata di Giorgia Meloni alle contestazioni rivolte al suo partito, nelle ultime giornate di campagna elettorale. Su questo aspetto, occorrerebbe recuperare un minimo equilibrio di giudizio: l’assalto politico-mediatico che ha investito la leader di Fratelli d’Italia, in seguito alla trasmissione dell’ormai famoso “girato” sulle manifestazioni nostalgiche di qualche frangia di militanti di destra e, in parte, anche con riferimento ai suoi commenti sull’ignobile devastazione della sede della CGIL, mi sembra ingeneroso nei confronti di una persona come Giorgia Meloni, considerando la sua storia di militante di partito e di figura delle istituzioni che, sul piano della lealtà e correttezza dei comportamenti, credo possa ritenersi ineccepibile, a prescindere dalle posizioni politiche che si possono condividere o meno. Un assalto mediatico troppo serrato, cui la stessa Giorgia ha reagito, a mio giudizio, con accenti polemici fin troppo accentuati ed esasperati, con riferimento, in particolare, alle critiche alla Ministra Lamorgese. Questi i limiti principali delle politiche recenti del centrodestra che forse hanno concorso a disorientare gli elettori più moderati e “centristi”, probabilmente, in buona parte, rimasti a casa, concorrendo a formare quell’ampia e desolante percentuale di astensionismo che ha caratterizzato queste elezioni. Le aspettative vittoriose, con riferimento alle elezioni politiche, sembrano ora un poco appannate per la coalizione stessa, considerando anche le conseguenti tensioni interne e le distinzioni sempre più evidenti, sul piano della forma o della sostanza (nella Lega, tra Salvini, da un lato e Giorgetti e i tre governatori regionali, dall’altro, in Forza Italia tra i tre ministri e i fedelissimi del Cavaliere). Sarebbe necessario un serio dibattito autocritico, come in genere accadeva nei vecchi partiti, a seguito delle batoste più indigeste. E questo vale anche per i 5 Stelle. Il magro risultato elettorale, la bocciatura di Virginia Raggi che non è neppure arrivata al ballottaggio, la condivisione di una vittoria soltanto laddove si sono alleati con il PD – e con l’elezione a sindaco del candidato targato PD – dovrebbero indurre il prof. Conte, tuttora forte di un notevole consenso personale, ad accelerare il percorso verso una rinnovata identità e una chiara collocazione del movimento, in una realtà nazionale che non è più quella dei tempi del Vaffa day o delle elezioni del 2013. Antipolitica e demagogia esasperata hanno prodotto stanchezza nell’opinione pubblica, il tragico ciclone della pandemia ha, peraltro, inciso profondamente negli animi e nelle aspettative di una collettività alla ricerca di una ripresa fiduciosa e costruttiva, personaggi che, senza sbavature e spettacolarizzazioni, mostrano, con moderazione ed equilibrio, una piena e credibile immedesimazione nelle dinamiche della democrazia rappresentativa e delle sue istituzioni, come Mattarella e Draghi, riscuotono una crescente fiducia e rassicurano il Paese, gli avventurismi di capipopolo improvvisati non verrebbero più premiati. La figura più credibile per la salvezza del Movimento fondato da Beppe Grillo è certamente quella di Giuseppe Conte, grazie alla popolarità acquisita alla guida dell’Esecutivo. E lo spirito di conservazione spingerà certamente la maggioranza del Movimento stesso a seguire il giurista pugliese nel percorso di consolidamento dell’alleanza con il Pd, per consentire così il ritorno ad un bipolarismo dell’alternanza che garantisca maggiore stabilità alle nostre istituzioni democratiche. Con il Pd, come dimostrato nelle recenti amministrative, i 5 Stelle possono essere ancora parte integrante di una squadra vincente. Già il Pd…: è il grande vincitore di queste consultazioni, ha trionfato su tutta la linea. Forse non solo per meriti propri, in larga misura per demerito degli avversari. Le sue vittorie concorrono a rafforzare il governo, nell’immaginario collettivo, considerando che il partito guidato da Enrico Letta viene percepito come la forza più collaborativa e allineata, rispetto alla difficile sfida che impegna la squadra di Mario Draghi. Un compito complesso attende ora il Pd, in vista di due appuntamenti di grande rilevanza: l’elezione del Presidente della Repubblica, in gennaio-febbraio 2022 e poi le elezioni politiche, nel 2023, se andranno a scadenza naturale. In tale prospettiva, anche a sinistra dovrà essere costituita una larga alleanza competitiva, tenendo conto che, nei sondaggi di rilievo nazionale, nonostante le batoste nelle elezioni dei sindaci, il centrodestra è ancora forte e potenzialmente vincente. Nella costruzione del nuovo Ulivo – che chiamo così a fini di semplificazione – si identifica la missione strategica del maggiore partito della sinistra. Ma per affrontare le richiamate sfide, considerando il dato non incoraggiante dei consensi pentastellati, il PD avrà bisogno anche di altri alleati, oltre a 5 Stelle, Leu e altre formazioni minori della sinistra. Letta dovrà conservare un canale di dialogo con Renzi e, ahimé, con quali tormenti interiori, considerato l’esito del voto, in Senato, sul ddl Zan, partita, peraltro, giocata malissimo dai sostenitori dello stesso, sottraendosi all’esigenza di una nuova e più ampia mediazione ! E un altro potenziale alleato dovrebbe ravvisarsi nel movimento di Carlo Calenda, prima lista nelle elezioni del consiglio comunale di Roma, quindi assai promettente, considerando l’ansia di novità e di adeguata rappresentanza che si avverte proprio nell’area di centro. Ma Renzi e Calenda non si sentono compatibili con i 5 Stelle ed è su questo nodo che si potrebbe inceppare la costruzione del nuovo Ulivo. A meno che, un’avveduta conduzione dell’ex premier Giuseppe Conte, culturalmente piuttosto affine al PD, porti il movimento dei grillini su una sponda ormai lontana e diversa, rispetto ai fervori “antisistema” delle origini.
di Alessandro Forlani
Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.