Proprio mentre il potenziale offensivo della pandemia evidenziava la sua sensibile attenuazione, un altro spettro inquietante si è affacciato sull’Europa: una guerra d’aggressione scatenata dal regime della Federazione russa in Ucraina, con effetti disastrosi per la popolazione ed il suo territorio. E la crescente tensione internazionale che si è determinata ingenera la percezione del rischio di una possibile estensione del conflitto, laddove nello stesso si venisse a configurare, anche solo accidentalmente, il coinvolgimento di un Paese Nato, oppure il ricorso a tipologie di armamenti decisamente ripudiate dalla coscienza collettiva della comunità internazionale. La guerra insensata di Putin, non ancora scoraggiato dalle sanzioni, dall’isolamento e dalle possibili conseguenze di fronte alla giustizia internazionale, sta provocando morte e sofferenza tra combattenti e civili, esodi di massa, distruzioni diffuse. Una violenza furibonda su un Paese di dimensioni e potenzialità militari molto inferiori che, tuttavia, si difende eroicamente, nonostante la catastrofe umanitaria, ostacolando sensibilmente previsioni e piani originari degli invasori. La priorità del momento deve ravvisarsi in una seria ed incisiva iniziativa diplomatica per il “cessate il fuoco”, ma ancora non vediamo segnali convincenti in questo senso. Mentre si consuma la tragedia di un popolo europeo, le implicazioni economiche rivelano una portata generalizzata, che va ben oltre le parti belligeranti. Aumento del costo delle materie prime e dell’energia, rischio di generale compromissione degli approvvigionamenti di gas e di petrolio dalla Russia – anche alla luce dell’ultima sfida di Putin, con la richiesta di pagamento in rubli -, l’auspicata ripresa esposta al rischio di nuove battute d’arresto. Questo, in particolare, per il nostro Paese, tra i più colpiti dall’emergenza pandemica, da tempo in affanno nella crescita, a causa di croniche criticità, cui la massiccia iniezione di fondi europei dovrebbe, negli auspici, porre rimedio, ai fini di invertire la rotta. Il premier Draghi, su sicurezza ed energia, ha invocato la necessità di “decisioni ambiziose, rapidamente operative”, sollecitando anche una revisione delle politiche finanziarie ed economiche dell’Unione (Patto di Stabilità, agricoltura, aiuti di Stato, lo stesso Pnrr, forse non più sufficiente, quantitativamente, alla luce delle nuove difficoltà). Tematiche scottanti e delicate che, con maggiore efficacia, potrà sottoporre ai partners europei, quanto più troverà convergenze, sul piano nazionale, nella sua ampia e composita maggioranza parlamentare. Sull’aumento delle spese militari già si registrano frizioni da parte di Lega e 5 Stelle che forse rispolverano, in questa occasione, retaggi di un antico euroscetticismo. E pesa certamente, nel dibattito, anche il drastico e lapidario commento, sul punto, di Papa Francesco. Ma la questione della sicurezza europea resta centrale. Perché dispotismo e imperialismo, orgoglio etnico e pretese sfere di influenza sono fenomeni che rivestono purtroppo una drammatica e inquietante attualità e insidiano tuttora la pacifica convivenza dei popoli. Un’Unione politica costituita da 27 Stati deve poter fruire di un apparato difensivo comune per esercitare una deterrenza, rispetto a quegli stessi fenomeni, si valuteranno poi dimensioni e contributi dei singoli Stati. La realizzazione di forze armate comuni europee potrebbe forse determinare, inoltre, nel corso del tempo, una diversa configurazione della Nato e vanificare la preoccupazione del Cremlino, in ordine all’estensione ad est dell’influenza americana. Quanto all’emergenza energetica, per troppo tempo si è trascurata l’esigenza di individuare una strategia concreta di autosufficienza o di maggiore diversificazione delle importazioni, rispetto alla dipendenza dalla Russia. L’ora drammatica che sta vivendo il Vecchio Continente deve indurci, anche rispetto a questo, ad assumere le necessarie decisioni, modificando lo schema di gioco. E, nel frattempo, anzi, nell’immediato, ad intraprendere le più efficaci iniziative per realizzare autorevoli mediazioni – particolarmente efficace potrebbe rivelarsi, forse, il ruolo della Cina – dirette alla cessazione delle ostilità.
Immagine dal sito www.agendadigitale.eu
di Alessandro Forlani
Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.
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