VERSO IL VOTO ANTICIPATO:
programmi all’altezza delle emergenze

Edward Hopper, South Carolina Morning, 1955, Whitney Museum of American Art, New York
Forse mai una crisi di governo si è potuta configurare tanto inutile, dannosa e inopportuna, come quella che ci è stata riservata in questa torrida estate ! Che le ragioni e le specifiche priorità, che contraddistinguono la linea dei singoli partiti, dovessero essere in parte sacrificate alle esigenze di tenuta della coalizione doveva risultare ben chiaro, fin dagli inizi dell’avventura politica dell’esecutivo di larghe convergenze, guidato da Mario Draghi. Quando l’ex banchiere, circa un anno e mezzo fa, ha raccolto attorno a sé una così ampia maggioranza, la logica dell’operazione e il quadro che si veniva delineando, in termini politici, rendevano evidente, per tutti i comprimari, una condizione di eccezionale emergenza, nella quale formazioni, fino a quel momento su posizioni opposte, avrebbero dovuto, contro ogni previsione, cooperare in uno stesso esecutivo, fino alla scadenza naturale della legislatura. La traumatica interruzione dell’esperimento unitario, a pochi mesi dalla scadenza naturale stessa, con una competizione da svolgersi nel pieno di una stagione afosa e in un’atmosfera tendenzialmente di vacanza non si è compreso bene a chi e a cosa possa giovare. Probabilmente a nessuno, nel senso che tutta una classe politica ci perde qualcosa, in termini di credibilità. Sono state svolte molte analisi su cause e responsabilità, spesso viziate da interessi di parte o da meri settarismi. In realtà, il big bang potrebbe non essere il frutto di un’unica regia, ma di una concatenazione di singole iniziative e delle relative contromosse. Si può ritenere che un ruolo centrale l’abbia giocato la profonda crisi in cui versava il Movimento 5 Stelle, con la traumatica scissione di Di Maio e di diversi altri parlamentari. A quel punto, il quadro politico di maggioranza risultava sensibilmente alterato. Le successive manifestazioni di dissenso di Conte, emblematiche del disagio del Movimento, hanno poi determinato effetti a catena di logoramento delle larghe intese. E ora, a prescindere da reciproche contestazioni di torti e responsabilità, lo sguardo deve volgersi all’immediato futuro, alla campagna elettorale imminente e alla nuova legislatura che inizierà in autunno. Ancora per qualche mese il governo Draghi resterà in carica per gli affari correnti, quindi depotenziato, ma ancora con discreti margini di intervento, in virtù delle urgenze che investono il Paese. Nella prospettiva delle elezioni, l’opinione pubblica dovrebbe essere posta nelle condizioni di scegliere tra programmi alternativi, in ordine alle sfide principali che il nuovo Parlamento dovrà affrontare: quali le strategie, per concorrere alla soluzione del conflitto in Ucraina, quali politiche energetiche per differenziare ulteriormente le importazioni e, soprattutto, per raggiungere una maggiore autosufficienza e l’incremento delle rinnovabili, come rispondere alla piaga della siccità, adottando misure più efficaci contro la dispersione idrica. E, in particolare, l’attuazione del PNRR, con effetti virtuosi sui servizi, sulla pubblica amministrazione, sull’occupazione e la tutela ambientale. Accompagnando gli investimenti con le riforme prescritte dall’Europa, ancora fortemente divisive, soprattutto sui temi della concorrenza, del fisco, della giustizia. Sulla base delle affinità programmatiche andrebbero costruite le coalizioni, guidando così l’elettore a una scelta rispondente ai propri orientamenti. Assistiamo invece ancora a troppi tentennamenti e posizioni interlocutorie legati a diffidenze e tatticismi. Con il nodo candidature che, alla vigilia di un voto per un Parlamento ridotto di un terzo, rappresenta il vero convitato di pietra. E, soprattutto, sarebbe auspicabile che la campagna non si riducesse ai consueti schemi di delegittimazione, fascisti-antifascisti, putiniani e non putiniani, anziché accentuare il confronto programmatico. Purtroppo, invece, questa tendenza già si manifesta, vigorosamente, a campagna non ancora ufficialmente iniziata !! Quanto alle coalizioni in campo, la composizione del centrodestra può ritenersi ormai sufficientemente chiara, i tre partiti maggiori hanno accettato di stare insieme su linee programmatiche comuni, restano ancora incerte le adesioni di qualche cespuglio che, comunque, potrebbe procurare una certa utilità marginale. Si è riscontrata una certa fibrillazione per la scelta del candidato premier che certamente avrebbero potuto risparmiarsi, rinviandola all’esito del voto – in caso di vittoria – quando, cioè, i rapporti di forza saranno ormai certi e non soltanto virtuali, in base ai sondaggi. Nel centrosinistra, si ravvisa il consueto e ricorrente travaglio legato al nodo secolare, mai risolto, della dialettica riformisti-massimalisti, ora sotto diverse spoglie ed etichette, ma sempre fondamentalmente derivanti da quella stessa distinzione. Il Pd rappresenta il naturale federatore di tante anime diverse e, ai fini della mera competizione con la coalizione avversaria, stimata oltre il 40%, troverebbe la sua convenienza nella formazione di un’alleanza molto ampia, dai moderati Calenda, Renzi, Di Maio, fino alle posizioni più a sinistra, da Speranza a Fratoianni. Ma, al di là delle diffidenze personali, retaggio di incomprensioni e di traumi politici più o meno recenti, un simile rassemblement dovrebbe fare i conti con visioni lontane che sarebbe assai difficile conciliare. Letta ha provato a rilanciare la vocazione maggioritaria del PD, ma parte da una percentuale, pur rilevante, non competitiva, in assenza di alleati. E a lui, quindi, è richiesto, un supplemento di accoglienza e di superamento di diffidenze e di pregiudizi, per allargare il cartello, nel quale non mi sento di escludere che, nella necessità, non venga, alla fine, richiamato anche il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, perché trovo difficile che quel 10% circa che, tuttora, gli viene accreditato, venga riassorbito dal PD o che, alla fine, lo stesso PD, accetti che venga disperso, fuori dall’alleanza. Ma sarebbe preferibile che a qualsivoglia schema di alleanza si arrivi, comunque, nella chiarezza delle posizioni e delle finalità, affinché la diciannovesima legislatura repubblicana possa giovarsi del respiro riformatore all’altezza delle attese.
di Alessandro Forlani
Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.