
Si è finalmente chiusa una campagna elettorale caratterizzata da polemiche infuocate, dai toni apocalittici, con la ricorrente evocazione di una sorta di resa dei conti decisiva tra il bene e il male, tra il progresso e lo sviluppo da un lato e l’oscurantismo, la regressione e la marginalità dall’altro. In realtà, molto spesso, le competizioni elettorali di casa nostra hanno assunto questa dimensione di sfida epocale, per poi ritrovarci, all’alba del giorno successivo al voto, una volta svanita la “sbornia” delle polemiche, di fronte alle fatiche della ricostruzione di un equilibrio e della soluzione dei nodi più spinosi, temporaneamente differite dall’euforia della corsa alle urne. La competizione si è rivelata, in qualche modo, un po’asimmetrica, rispetto alla tradizione del bipolarismo italiano. A fronte di sondaggi che, pur nella diversità delle proiezioni, apparivano costantemente concordi nella quotazione della coalizione di centrodestra oltre la soglia del 40%, l’alleanza che gravitava attorno al PD stentava ad approssimarsi al 30%. Questo perché il maggiore partito della sinistra, guidato da Enrico Letta, pur attestandosi – sempre con riferimento ai sondaggi – attorno al 20% e talvolta anche oltre, aveva aggregato nella propria coalizione soltanto forze di piccole dimensioni (+Europa, la lista di sinistra più radicale Bonelli-Fratoianni, la nuova formazione di Di Maio e Tabacci), senza arrivare a chiudere definitivamente l’accordo con il Terzo Polo a trazione Calenda-Renzi e con il Movimento 5 Stelle. La peculiarità di questa campagna elettorale può ravvisarsi in questa anomalia, con le dinamiche di alleanza del maggiore partito della sinistra che si sono rivelate intempestive e carenti, vanificando la possibilità di una competizione nella quale la partita si potesse considerare aperta, con il pathos di un esito incerto, fino a fine corsa. Se la volontà di vincere e battere “questa destra”, come spesso gli avversari la qualificano, in senso dispregiativo, avesse rappresentato realmente la priorità dei partiti che la combattono, è difficile immaginare che un accordo non si sarebbe trovato. Certo Letta scontava, comunque, a prescindere dalle proprie rigidità, un ostacolo che da solo non avrebbe potuto rimuovere, ossia l’indisponibilità del binomio Calenda-Renzi ad una coabitazione con i 5 Stelle, nella stessa alleanza. Sotto questo profilo, uno sforzo di apertura avrebbe dovuto richiedersi anche ai due centristi, oltre che alla leadership del PD. E credo che tutti costoro abbiano ampiamente sottovalutato le capacità di recupero dell’ex premier Giuseppe Conte, che ha risollevato le sorti del Movimento grillino con una sapiente strategia di messaggi mirati a determinati segmenti sociali e rivelato un garbo e una serenità che ne hanno arricchito quel carisma, già in larga misura acquisito, nell’opinione pubblica, durante la lunga e difficile esperienza di governo (2018-2021). E, in particolare, non ha evidenziato particolari settarismi nella polemica con gli avversari. Anche il centrodestra, a parte qualche scivolone, è apparso abbastanza attento a non indugiare nei settarismi, nonostante infinite provocazioni, soprattutto in ordine al pericolo fascista e al possibile isolamento in Europa. Forse anche in conseguenza di questo stile più misurato, ha vinto le elezioni del 25 settembre. A questo si aggiungono naturalmente altre concause, in particolare la coerenza e serietà dimostrata negli anni dalla leader di Fratelli d’Italia e la capacità dei tre principali leaders del centrodestra stesso di realizzare una coalizione competitiva e sufficientemente compatta, adeguata alle implicazioni della vigente legge elettorale che premia, appunto, le coalizioni. Per la giovane Giorgia è arrivata, a questo punto, l’ora della verità: prossima all’investitura come premier, prima donna, fin dai tempi della proclamazione dell’Unità nazionale, priva di una rilevante esperienza di governo, eredita una condizione del Paese gravata da pesanti criticità. Sfide particolarmente insidiose attendono il nuovo governo sul fronte della politica estera e nello scenario nazionale, soprattutto sotto il profilo dell’economia, minacciata dal caro energia e dall’inflazione. Sul piano internazionale dovranno tenere la barra dritta nella solidarietà all’Ucraina aggredita dalla Russia, ma occorrerebbe un impegno dell’Italia per concorrere alla soluzione di una crisi la cui deriva può rivelarsi disastrosa per la stabilità dell’Europa, con riferimento alla sicurezza e agli equilibri economici. Sul fronte interno, relativamente ai rischi di recessione e di intensificazione del disagio sociale, il governo dovrà proseguire con determinazione nell’attuazione del Pnrr, tenendo conto che già a fine anno dovremmo aver raggiunto 55 obiettivi, per non perdere la terza rata di finanziamento, tanto più necessaria in uno scenario che profila una crescita al ribasso per l’anno che verrà (stima allo 0,6%). Si profila, nel contempo, una crescente difficoltà di contenimento del deficit, in conseguenza degli interventi necessari per sostenere famiglie e imprese, a fronte degli effetti del caro energia e di quelli che dovranno essere attuati, entro fine anno, in vista delle scadenze che investono previdenza e ammortizzatori (quota 102, con il rischio di un ripristino integrale della legge Fornero) e la Cassa integrazione. La nuova futura premier deve formare la squadra con occhio attento e valorizzando serietà e competenza, accantonando intenti di lottizzazione che inevitabilmente affiorano nelle logiche di coalizione. E dimostrare all’Italia, all’Europa e al mondo che il suo patriottismo non si risolve in un anacronistico nazionalismo isolazionista, ma nella capacità e volontà di promuovere soluzioni adeguate, nelle riforme e negli interventi che verranno adottati, rispetto alle più urgenti priorità. Un amor di patria che, comunque, confermi la sinergia con l’Europa e gli alleati atlantici.
di Alessandro Forlani
Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.
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