
Il governo sarà guidato da Giorgia Meloni. Le democrazie non corrono rischi se vince la destra o la sinistra, ma se perde la politica
Fine della propaganda, si passa alla sostanza. La vittoria va a Fratelli d’Italia, ma veniamo da vittorie anche più marcate (Pd renziano nel 2014, 5 Stelle nel 2018 e Lega nel 2019) dissoltesi nel nulla. Prima delle prossime scadenze elettorali, fossero anche municipali, si gioca la partita del passare dal prendere i voti al saper governare. Siccome il governo sarà guidato da Giorgia Meloni, è lì che si deve concentrare l’attenzione. Ma la sostanza vale anche per l’opposizione. Le democrazie non corrono rischi se vince la destra o la sinistra, ma se perde la politica.
Prima sostanza, l’Unione europea. Qui l’effetto è paradossale, perché inseguendo un maggiore peso nazionale si realizza un perdita di peso politico. Dalle questioni economiche alla revisione dei trattati, dalla reazione all’invasione dell’Ucraina al mercato del gas, l’azione di Draghi, forte dell’esperienza in Bce, ha insidiato il ruolo del tandem franco-tedesco. Complice la debolezza tedesca. Se non si abbandona subito la prosopopea propagandistica e ci si marginalizza, il problema non è cosa diranno di noi ma che smetteremo di dire ad altri come indirizzare l’Ue.
Seconda sostanza, la politica estera. Meloni ha una marcata (e benemerita) posizione atlantista, ma talora pare volere fare il verso a quella del Regno Unito, nel rapporto diretto con gli Usa. Ma l’Italia non ha quella storia e il nostro peso è mediato dal rapporto Ue-Usa. O non c’è. Senza questa nettezza si torna alle derive mediterranee e si resta sguarniti nel caos a Est e a Sud. Da questo punto di vista Meloni è indebolita dagli alleati, perché uno è filorusso e anti europeo, mentre l’altro si dipinge come garante d’europeismo, ma sull’Ucraina è riuscito a dire delle oscenità. Molto dipenderà dal terreno economico.
Terza sostanza, i conti, appunto. Nel corso della campagna elettorale Meloni ha (meritoriamente) tenuto il punto sullo scostamento di bilancio, ovvero sul maggiore debito. Crosetto ha già chiesto a Draghi la collaborazione sulla legge di bilancio, cosa di ottima correttezza istituzionale, opposta alla volgarità dei vincitori che s’industriano a smontare quanto fatto dai predecessori. Certo, a chiedere collaborazione sono gli oppositori di ieri, il che racconta molto di quel che è stato. Ma il tema non è solo la legge di bilancio, che deve essere pronta in un mese, bensì la condotta successiva. Qui si deve subito abbandonare la propaganda per gonzi, che finge il problema siano i “parametri” europei. Quelli sono solo il riflesso della realtà, nonché la base su cui poggiano le difese di cui godiamo. Sarà sufficiente osservare quel che è capitato al Regno Unito, che ha un debito ben inferiore al nostro, dopo avere annunciato il taglio delle tasse a debito (si lasci stare Thatcher, che c’entra nulla): tassi in salita e sterlina che non hanno svalutato loro ma direttamente il mercato. Svalutazione che li rende più poveri, non più esportatori. Nel 2023 i titoli del debito italiano da emettere o rinnovare si aggirano sui 200 miliardi di euro. C’è poco da fare gli spiritosi.
Nelle democrazie gli elettori sono sovrani nel decidere da chi essere rappresentati, ma non sono mica sovrani sul resto del mondo. Quello è un delirio. La realtà deve essere affrontata per quello che è, non per quel che si desidera. La qualità di una classe politica (anche d’opposizione) si misura dalla capacità di trasformare i consensi in forza realistica e operativa. Se per raccoglierli si è detto qualche sproposito, perseverare non è coerenza ma incoscienza. Se si usano i consensi per poterne avere altri, si perdono. Come è successo nei tre casi all’inizio ricordati. L’interesse comune di un Paese è che chi governa ci riesca, che sappia essere all’altezza. Supporre il contrario, sperare di rivincere per incapacità e fallimento altrui, è la morte della politica. Che nuoce gravemente alla salute delle democrazie. Illude che basti una mano di vernice, del proprio colore. Un’illusione che cade con l’intonaco.
Articolo pubblicato sul sito www.davidegiacalone.it
di Davide Giacalone
Davide Giacalone
Davide Giacalone (1959).
Dal 1979 in poi, mentre continuava a crescere il numero dei tossicodipendenti, si è trovato al fianco di Vincenzo Muccioli, con il quale ha collaborato, nella battaglia contro la droga.
Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana.
Dal luglio1981 al novembre 1982 è stato Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dal 1987 all’aprile 1991 è stato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, che ha assistito nell’elaborazione dei disegni di legge per la regolamentazione del sistema radio-televisivo, per il riassetto delle telecomunicazioni e per la riforma del ministero PT, oltre che nei rapporti internazionali e nel corso delle riunioni del Consiglio dei Ministri d’Europa.
È stato consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.
Dal 2003 al 2005 presidente del DiGi Club, associazione delle Radio digitali.
Nel 2008 riceve, dal Congresso della Repubblica di San Marino, l’incarico quale consulente per il riassetto del settore telecomunicazioni e per predisporre le necessarie riforme in quel settore.
Nel maggio del 2010 ha ricevuto l’incarico di presiedere l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’innovazione, dipendente dalla presidenza del Consiglio. Nel corso di tale attività ha avuto un grande successo “Italia degli Innovatori”, che ha permesso a molte imprese italiane di accedere al mercato cinese. Con le autorità di quel Paese, crea tre centri di scambio: tecnologia, design, e-government. Nel novembre del 2011 si è dimesso da tale incarico, suggerendo al governo di chiudere la parte improduttiva dell’Agenzia, anche eliminando le sovrapposizioni con altri enti e agenzie.
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