GOVERNO E I LIMITI DELL’OPPOSIZIONE

                           Umberto Boccioni, Elasticità, 1912

Il governo Meloni prosegue nella sua difficile navigazione, aggirando con alterne fortune i sensibili scogli posti dalla congiuntura internazionale ed interna, senza apparenti pregiudizi duraturi. La levata di scudi dei distributori di carburante è stata, al momento, ridimensionata, la crisi energetica indotta dal conflitto in Ucraina sembra avviata ad un progressivo contenimento, in virtù del sostanzioso intervento contro il caro bollette previsto dalla manovra finanziaria. A questo si aggiunge l’intensa attività svolta dalla premier sul piano internazionale, per concludere accordi vantaggiosi con paesi produttori di gas (vedi missioni recenti in Algeria e Libia), diversi dalla Russia.
Gli aiuti militari all’Ucraina suscitano sì malumori e dissensi nell’opinione pubblica italiana, rilevati da recenti sondaggi, ma il consenso tra le forze politiche, anche di opposizione, continua a rivelarsi diffuso e convinto, fin tanto che il popolo ucraino continui ad essere martoriato dai bombardamenti e dagli eccidi e non si ravvisi alcun credibile segnale di tregua e di ritiro da parte degli aggressori. Un disimpegno italiano sarebbe, peraltro, difficilmente giustificabile, nelle condizioni attuali, di fronte agli alleati europei e transatlantici.
Quanto alle ambizioni di carattere “identitario” della coalizione di governo, due obiettivi di grande rilievo, ma anche di forte potenziale divisivo, sono al momento sventolati, come battaglie distintive della legislatura in corso: da un lato il semipresidenzialismo (tipo Quinta Repubblica francese), dall’altra l’autonomia differenziata. Due modelli che, nel nostro paese, suscitano notevoli diffidenze e resistenze e si presume incontrino un percorso accidentato, come accade, in genere, quando vengano esperiti tentativi di riforma che incidano sensibilmente sul nostro sistema istituzionale. Sul primo punto deve essere considerata la diffusa fiducia che i cittadini dimostrano nei confronti del ruolo del Presidente della Repubblica, come figura di garanzia terza e imparziale. Saranno disposti a rinunziarvi, per avere poi un Capo dello Stato, bersaglio quotidiano delle schermaglie tra i partiti ?
Quanto al secondo punto, forme di autonomia “asimmetrica” tra le Regioni sono previste dalla Costituzione (art. 116) e, secondo le migliori intenzioni, dovrebbero favorire una competizione virtuosa tra le stesse e potenziare le diverse risorse e vocazioni dei territori. Ma il legislatore dovrà preoccuparsi di garantire la salvaguardia della solidarietà tra le diverse aree del Paese e prevenire eventuali disarmonie e penalizzazioni che possano venirsi a creare, considerando i diversi livelli di ricchezza e di sviluppo che caratterizzano la nostra realtà nazionale.
Sugli altri fronti, particolarmente irto e denso di resistenze e di ostacoli appare il compito del Ministro della Giustizia Carlo Nordio che intende riformare quello che da più parti è ritenuto, da decenni, il “gigante malato” della nostra realtà nazionale, la giustizia, logorata nei suoi apparati e nella sua credibilità da diverse piaghe che pregiudizi e settarismi ideologici e politici hanno ulteriormente aggravato, anziché allestire soluzioni durature. Nordio ha individuato una serie di misure che, senza ledere il principio dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, dovrebbero rafforzare le garanzie dei cittadini e restringere i margini per abusi e forzature, potenziando, in ogni caso, gli uffici giudiziari e gli organici e velocizzando i processi in tutti i campi del diritto. E’ essenziale restituire certezza al diritto stesso, garantire pronunce giuste in tempi congrui, evitare inutili e ingiustificati accanimenti e il solo sospetto di uso politico della giustizia. Anche sul tema delle intercettazioni si registrano polemiche strumentali, intensificate con la recente cattura del superlatitante Messina Denaro. Il Ministro non ha mai negato l’utilità dello strumento delle intercettazioni, soprattutto nelle inchieste sui fatti di criminalità organizzata più gravi e delicati, ma intende limitare – ed è un’esigenza che si palesa ormai da molti anni – un uso improprio, non funzionale all’esito delle indagini e potenzialmente lesivo della sfera privata e della dignità delle persone, a causa di indebite divulgazioni. Benché animato dalle migliori intenzioni, il compito di Nordio appare particolarmente arduo, considerando il clima di sospetto, pregiudizio e morbosità di parte che sempre ha accompagnato il dibattito sulla giustizia nel nostro paese, nel quale questo tema riveste, da almeno trenta anni, un ruolo dirimente nella competizione politica.
Il percorso accidentato di Giorgia Meloni e dei suoi ministri è comunque facilitato dall’estrema carenza e fragilità, nella fase attuale, degli oppositori, divisi e deboli, tanto nei numeri parlamentari, quanto nel consenso popolare, ma anche incerti e confusi nei contenuti e nelle argomentazioni. La scarsa incisività e rilevanza è principalmente dovuta alla loro divisione e all’incompatibilità che, almeno per ora, allontana decisamente due delle tre forze più rilevanti dell’opposizione stessa, 5 Stelle e Terzo Polo. Il Partito Democratico, che in Parlamento è la prima forza di opposizione, non potrà eludere a lungo l’esigenza di una scelta netta tra queste due formazioni, ai fini della creazione di una stabile alleanza che rappresenti l’alternativa alla coalizione ora al governo. Il presupposto di questa scelta assai controversa – perché sul punto si registrano pressioni contrastanti all’interno del partito – impone una sorta di “tagliando” identitario, la necessità di definire un orientamento che, senza precludere una vocazione accogliente e inclusiva, si collochi entro confini palesi e comprensibili, l’intento di tenere dentro le opzioni più lontane può pagare a breve, sul piano elettorale, ma a lungo termine induce una diffusa diffidenza, con conseguente demotivazione. Il Congresso che verrà presto celebrato deve sciogliere questo nodo, con trasparenza e onestà intellettuale. L’opzione che ne emergerà consentirà l’assunzione della scelta di alleanza, non apparendo più realistica, a mio giudizio, la prospettiva del partito “a vocazione maggioritaria” delle origini. Accettare l’idea della larga coalizione, già abilmente realizzata, sull’altro fronte, dagli avversari del centrodestra, è divenuto ormai un imperativo categorico anche per il Pd, se intende ancora svolgere un ruolo preminente nella politica nazionale.

 

di Alessandro Forlani

 

 

Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei
Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.