In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi.
(Ennio Flaiano)
Se si parla di “burocrazia” cosa intendiamo?
Diciamo subito, per togliersi il pensiero: per politici e amministratori locali (e non) la burocrazia è anche un alibi formidabile per scaricare responsabilità di ogni tipo. Come scrive David Graeber (Graeber è stato un antropologo e attivista statunitense di orientamento anarchico), “La spiegazione più semplice del fascino delle procedure burocratiche sta nella loro impersonalità”.
Tutti i significati sono generalmente e genericamente caratterizzati al negativo.
Molte le confusioni a riguardo, il termine viene più usato a sproposito come sinonimo di Pubblica Amministrazione, tanto che Karl Marx scriveva: “la burocrazia è lo Stato immaginario accanto allo Stato reale, è lo spiritualismo dello Stato”.
Per definire meglio il ragionamento propongo un flash di storia.
La parola “burocrazia” dal francese bureau (“ufficio”) connesso al greco krátos (“potere”), indica un complesso di regole che contemplano adempimenti a carico dei privati, quando svolgano attività che richiedano un intervento di tipo amministrativo. La storia della burocrazia nasce con l’uomo pensante. Provenienza storica: Cina, Egitto, Roma, la Chiesa, Carlo Magno, Re Giovanni I d’Inghilterra che accetta la Magna Carta (1215), Lutero, i Borboni (sembra che il termine burocrazia sia stato introdotto con molto successo dall’economista francese Jean Claude Marie Vincent de Gournay (1712-1759), Napoleone fino ad oggi (mi scuso per qualche dimenticanza).
Nello stesso tempo per burocrazia viene impropriamente indicato un complesso di pubblici dipendenti della Pubblica amministrazione il cui operato è indispensabile affinché i privati possano realizzare le loro attività economiche in genere. La burocrazia non solo riguarda i cittadini e delle imprese residenti, ma come effetto indiretto, rende il Paese poco attrattivo per gli investitori di altri stati, generando gravi effetti negativi sulla competitività del nostro sistema economico.
Un cammino burocratico comporta un sistema che si mette in moto: negli uffici pubblici, i funzionari ed impiegati gestiscono il cammino della procedura, gli avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro…) devono assistere i cittadini, e imprenditori di aziende private che producono prodotti o erogano servizi a supporto della nuova norma, magistrati aprono (spesso) inchieste per verificare l’applicazione corretta sotto il profilo legale di tutti i passaggi.
In poche parole si viene a creare indotti pubblici e privati.
Si deduce dunque che la burocrazia è un’industria e come tale porta a effetti economici e sociali a cui nessuno dei soggetti interessati vuole rinunciare. Il tentativo di snellire si scontra con la macchina burocratica per incompetenza dei proponenti e così via ai veti incrociati dell’ostruzionismo degli scontenti, i quali si aspettavano “un contentino”.
La riduzione della burocrazia è difficile, se non si concepirà, in modo partecipato e meno giuridico l’agire della nostra Pubblica Amministrazione; la burocrazia che tormenta la comunità è il risultato di tante nostre decisioni e preferenze di cui ignoriamo le conseguenze negative. Qui si apre il capitolo sofferto della enorme produzione di leggi in un quadro di pesanti incoerenze politiche a scapito dei Cittadini. Recentemente il Ministro della Giustizia Nordio ha affermato che in Italia si contano circa 250mila leggi, asserendo tra l’altro che “più lo Stato è corrotto, più sforna leggi“. Concordiamo purtroppo con il Ministro sullo Stato corrotto ma sul numero di leggi rimaniamo perplessi, molto perplessi. E a proposito, le straripanti richieste di Sindaci e Presidenti regionali per chiedere l’abolizione del reato di abuso d’ufficio sono molto sospette. Hanno troppi poteri e l’imputazione di abuso può essere ancora un argine agli interessi di bottega di costoro.
Qualcuno che li controlli ci vuole! Quanto siano le leggi nessuno lo sa e può saperlo nonostante le affollate e costosissime banche dati pubbliche. Forse solo un punto fermo esiste, secondo Normattiva (Poligrafico dello Stato), dal marzo 1861 al dicembre 2002 sono entrati in vigore 203.068 atti normativi, tra Atti Regi, decreti fascisti, leggi e decreti; aggiungiamo 43.501 di atti delle Regioni. Esiste una vera e propria mitologia sulla reale entità.
Certo nel novero mancano dati dal 2002 ad oggi, quindi non ci siamo sui 250mila!
Nella seconda Repubblica (1994) poi è andata consolidandosi una costosa cattiva abitudine: l’uso di una produzione eccessiva di Decreti della Presidenza del Consiglio.
Iniziò Berlusconi e oggi Meloni, Draghi, Renzi, Monti a ricorrere alla facile decretazione (come metodo) accompagnata dai voti di fiducia con fretta fatale che sottolineano debolezze degli stessi Esecutivi e tolgono spazio al dibattito parlamentare.
Prendiamo come esempio del ragionamento l’inondazione di Decreti del Presidenza del Consiglio, i famigerati Dpcm, nel periodo della pandemia sono stati emanati 1022 Atti tra il gennaio 2020 e il marzo 2022! Ci vorrebbe un vaccino contro questo tipo di malattia pseudopolitica, restando in tema. Ci sembra che il Governo Meloni sia molto distratto sulla questione, continua a parlare di Semplificazione e Digitalizzazione ma non batte chiodo, nemmeno uno!
Occorrerebbe adoperare gli strumenti che sono stati introdotti per migliorare la qualità delle nuove leggi, vale a dire le analisi di impatto. Ritorna in mente il pensiero di Eugene Mccarthi, politico e scrittore statunitense: “la sola cosa che ci salva dalla burocrazia è l’inefficienza. Una burocrazia efficiente è la più grande minaccia alla libertà“.
Ma le leggi vengono proposte sempre all’ultimo minuto e i partiti non amano che le analisi d’impatto mettano in luce le falle di improbabili accordi politici raggiunti a fatica.
Ma il problema è che l’opinione pubblica non attribuisce un valore agli sforzi per migliorare le nostre leggi. Da tempo molti provvedimenti legislativi introducono una nuova norma o nuovi controlli che contengono un articolo (definito standard ma così non è), indica come l’applicazione di nuove leggi non deve comportare costi per il bilancio dello Stato ma la pubblica amministrazione dovrà far fronte con le risorse di cui dispone, nulla pertanto. Nessuno ne parla?
Il Nostro Paese, oltre alla sua enorme mole di leggi e cartuccelle, ha dovuto sommare le direttive europee senza dovuta preparazione, un tunnel buio… La Presidente del Consiglio, anche in “garbatellese” istituisca un gruppo operativo di lavoro (di Persone che ci capiscano veramente) per intravedere un poco di luce nel buio di una persistente ignoranza burocratica (brutta bestia) che inquina ogni positività.
Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso: dal 2008 al 2018 (ultimi dati del World Economic Forum) ci piazziamo al 24° posto su 27 paesi dell’UE, meglio solo di Romania, Bulgaria e Grecia. Mentre nel ranking mondiale ci posizioniamo al 136° posto, perdendo sei posizioni rispetto al decennio precedente (Cgia).
Dopo averVi offerto Cari Lettori, spero, un dipinto (forse una crosta) sui temi trattati, concludo con una frase di Ennio Flaiano: ”coraggio, il meglio è passato”.
Immagine dal sito www.lavocedinewyork.com
di Francesco Petrucci
Francesco Petrucci
Sociologo. Si è laureato presso l’Università di Roma la Sapienza.
Osservatore nei corsi economici presso L’Unione delle Camere di Commercio.
Esercitatore presso la Cattedra di Filosofia Moderna con il prof Franco Bianco.
Assistente presso la cattedra di Metodologia e Tecniche della ricerca sociale con il prof. Gianni Statera.
Ha lavorato presso la Group Italia Spa; la Confederazione della Uil nazionale e della Cisl nazionale distaccato da Società Autostrade Spa.
Consulente dell’AD Alitalia Spa.
Assistente dell’A.D. Olivetti-Eurocomputers.
Presidente del Comitato Culturale del Giornale online “ITALIANITALIANINELMONDO.COM”.
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