LA SORPRESA DEI GAZEBO E LA NUOVA STAGIONE DEL PD

di | 1 Mar 2023

                                     TvBoy, Murale a Milano

Con l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico si apre una pagina nuova nella storia della maggiore forza politica della sinistra italiana. Questa almeno la speranza delle centinaia di migliaia di iscritti e simpatizzanti che l’hanno sostenuta nei circoli e nei gazebo, cui si è registrata una larghissima affluenza. Ma è anche la previsione di molti osservatori esterni. Nei confronti della giovane parlamentare, già vice del suo concorrente Bonaccini nella giunta regionale dell’Emilia Romagna, sono riposte grandi aspettative, soprattutto da parte dell’ala più radicale del partito. La sua elezione ha colto tutti di sorpresa, si dava quasi per scontata la vittoria di Bonaccini, considerato l’uomo dell’establishment del partito, sia pure non di tutto. Il risultato di domenica 26 febbraio assume quindi la valenza di una vera svolta, secondo alcuni quasi “rivoluzionaria”, un momento di forte discontinuità, quasi un nuovo inizio. I sostenitori di Elly si attendono ora una più marcata connotazione identitaria, una più chiara percezione della cultura di riferimento di una forza politica che appariva ormai fin troppo sbiadita o multiforme, sotto il profilo delle linee di pensiero e delle opzioni, in ordine alle grandi sfide della presente congiuntura. E’ vero, tuttavia, che, come è stato rilevato da più parti, le differenze tra le mozioni dei candidati non apparivano particolarmente nette e caratterizzanti, ma molto sfumate. Le diverse aspettative possono invece presumersi sulla base delle rispettive biografie. E il profilo della Schlein evoca una più marcata tendenza radicale, una posizione più intransigente sui valori che oggi caratterizzano la sinistra europea. Il Pd, dopo le elezioni politiche di settembre, era alla ricerca di tre “traguardi”, per risalire la china e rendersi di nuovo competitivo, rispetto alla coalizione di centrodestra risultata vincitrice: un nuovo leader, una più visibile identità, una scelta di alleanza stabile. I primi due obiettivi, con l’elezione di Elly, sono stati raggiunti. Il terzo, a mio giudizio, dovrebbe risolversi, allestendo un ponte con il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, certamente più affine alla nuova leader del Pd, rispetto al Terzo Polo di Calenda e Renzi. Proprio in polemica con quest’ultimo la Schlein lasciò a suo tempo il Pd, mentre le politiche di Conte non sembrano lontane dai suoi orientamenti. L’ex premier, ora leader 5 Stelle, è riuscito, con grande abilità, a porsi, negli ultimi mesi – soprattutto con la sua battaglia sul reddito di cittadinanza – quale ascoltato interlocutore di una larga parte deIl’elettorato orientato a sinistra. I tentativi di alleanza si innesteranno ora nello scenario aperto dalle scorse elezioni politiche di fine settembre, che hanno consegnato al centrodestra la guida del Paese e che è stato ulteriormente integrato dalle successive elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia di metà febbraio. Il dato emerso da queste più recenti consultazioni può cogliersi nella stabilizzazione e nel consolidamento della coalizione di governo. Il timore che il maggior partito, Fratelli d’Italia, crescesse ai danni degli alleati, ridimensionandoli sensibilmente, non ha trovato riscontro nell’esito delle urne, Lega e Forza Italia hanno complessivamente tenuto, nonostante il successo della formazione alleata, guidata da Giorgia Meloni. La percezione di una coalizione compatta, in grado di assicurare una fase di stabile governabilità, premia in genere le forze che ne fanno parte. Sull’altro fronte, suscita un’ulteriore riflessione il risultato del Pd: in una condizione di obiettiva difficoltà, dopo il dato delle politiche di settembre, senza segretario, senza alleati stabili, (con 5 Stelle in Lombardia e con il Terzo Polo nel Lazio), senza una precisa identità, secondo un giudizio costante dei commentatori, non soltanto ha sostanzialmente tenuto, anzi incrementato le sue percentuali, rispetto al dato delle politiche, ma si è confermato secondo partito ( e primo di opposizione), schivando il temuto sorpasso da parte del Movimento 5 Stelle. Questo dimostra che, a dispetto di certe profezie populiste che prefiguravano la transizione verso una politica ridotta ai dibattiti “in Rete”, liquida e virtuale, in una democrazia matura il partito organizzato e articolato sul territorio esercita ancora un certo richiamo. La presenza di militanti operosi tanto nei circoli, quanto nei gazebo, il serrato dibattito e pluralismo interno, il concorso di candidature alla segreteria e di proposte politiche sottoposte a confronto hanno, in un certo senso, supplito alla temporanea crisi di identità e di leadership e alla carenza di alleanze stabili e sicure. Mentre le forze “fluide” e tendenzialmente “personali” segnano il passo (Terzo Polo, 5 Stelle), il Pd, con la sua struttura, ha mostrato di resistere, con un segmento consistente di elettori, in attesa della battaglia congressuale. Dopo l’elezione di Elly Schlein diviene ineludibile, per il Pd, il tema delle alleanze, ossia della costruzione di un’alternativa di governo. E la scelta delle alleanze impone chiare opzioni sui grandi temi. A cominciare da quello della guerra in Ucraina, forse dirimente ai fini delle alleanze stesse. Una conferma del deciso atlantismo perseguito dalla segreteria di Enrico Letta avvicinerebbe – almeno in termini di politica estera – il Pd al Terzo Polo di Calenda e Renzi, uscito un po’ ammaccato da queste consultazioni regionali, mentre un‘inversione di rotta in senso – diciamo per semplificare – pacifista (congeniale ad una certa cultura della sinistra radicale, non a caso la stessa Schlein si è finora mostrata molto prudente sul tema) potrebbe orientare la nuova fase del Pd verso un’intesa con 5 Stelle. Già più affine, in linea generale, alla neoeletta leader Pd, come precedentemente rilevato. I pentastellati avevano forse confidato nella possibilità di aumentare i consensi ai danni di un Pd in condizioni critiche, ma non è andata così. Il risultato assai deludente del partito di Conte, soprattutto nel Lazio, dove si percepivano buone aspettative di successo, svela la necessità di superare la fase delle astuzie tattiche e delle sterili concorrenzialità. Proseguire su una linea di isolazionismo può gradualmente avviare il Movimento verso l’irrilevanza. E quindi appare ineludibile l’inizio di una marcia di riavvicinamento al Pd, anche sul piano nazionale.

di Alessandro Forlani

 

Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.