Così come complesso e complicato, ed al tempo stesso coinvolgente, è stato proporre in una mostra, e nel suo catalogo il “genio” dell’Artista, allo stesso modo ci risulta difficile delineare le caratteristiche della meraviglia, non solo dell’artista, ma anche di chi ha collaborato alla realizzazione della mostra, e del successivo catalogo. La particolare attenzione che si ha sfogliando il libro cade su una presenza di piante, planimetrie, viste laterali e accurate descrizioni delle stesse, rare in mostre e soprattutto in cataloghi. Il merito di questo lavoro serio e accurato va ad uno Staff di architetti il cui riferimento è l’architetto Miriam Ruiz-Iñigo, Docente di Architettura all’Università di Valladolid e Responsabile della Mostra e del Catalogo. Come afferma la stessa Miriam Ruiz-Iñigo, nella prefazione, “Non è un compito facile mostrare il particolare universo dell’artista, Juan Carlos Arnuncio.” E lo studio si è sviluppato per trovare un “tono giusto, né eccessivamente erudito né riduttivamente inconsistente” Insomma un “equilibrio tra l’accademico e il didattico” Ella stessa afferma che è impossibile trovare un approccio “meramente superficiale” in quanto la “personalità avvolgente trascende la sua attività professionale per entrare in ambiti in cui l’emotivo acquista un valore fondamentale.” Prosegue Miriam Ruiz-Iñigo di come sia improbabile spiegare un progetto architettonico, di come collegarlo al processo creativo, e come sia difficile “rendere visibile ciò che è intangibile perché appartiene al mondo delle idee”.
“Come si può rappresentare una ispirazione?” e prosegue ricordando gli scritti di Alvar Aalto “dejándose llevar por el instinto dibujaba composiciones casi infantiles que hacían que a partir de una base abstracta se desprendiera una idea maestra” (“lasciandosi trasportare dall’istinto, disegna composizioni quasi infantili che fanno emergere da una base astratta un’idea magistrale”). In un Mondo sempre più tecnologico, informatizzato, la “mano” dell’artista appare una rivendicazione di strumento di pensiero e la Ruiz-Iñigo ricorda il saggio di “Elogio della Mano” di Henri Focillon in cui afferma “que las manos son el instrumento de la creación, pero, de entrada, son el órgano de conocimiento. La mano que toca, palpa, estima el peso, mide el espacio, modela la fluidez del aire para prefigurar en él la forma es la mano” (“che le mani sono lo strumento della creazione, ma, fin dall’inizio, sono l’organo della conoscenza. La mano che tocca, palpa, stima il peso, misura lo spazio, modella la fluidità dell’aria per prefigurare in essa la forma è la mano.”). Attraverso di essa l’artista svolge il personale processo creativo, una vera e propria “techne” che coinvolge finezza intellettuale e sapienza realizzativa. Il catalogo si articola in una serie di “strati temporali” che hanno forgiato il Museo Patio Herreriano come si può ammirare oggi. Un tempo antico in cui il Monastero di San Benito inizia a essere formato sulle tracce dell’Alcázar Reale, donato all’Ordine Benedettino da Juan I di Castiglia in un punto strategico nella struttura urbana della città. Papa Clemente VII (antipapa di Avignone) emise nel 1387 la bolla per la sua fondazione e da allora l’edificio non ha cessato di mutare, dall’inizio fino al suo periodo di massimo splendore quando il Monastero Reale di San Benito era a capo dell’Ordine Benedettino, ancora visibile nel cortile che chiamavano Herreriano, sebbene Juan del Ribero Rada ne fosse l’autore. Parte della Cappella dei Conti di Fuensaldaña è ancora in piedi, e ci sono, tra le opere pittoriche conservate dal Museo, resti della fortezza primitiva prima dell’esistenza del Monastero stesso La Ruiz-Iñigo ricorda come storicamente molti edifici non hanno variato nel Tempo, e mantengono intatte le loro caratteristiche dalla loro prima concezione “estranei alle convulsioni del Mondo”, come il Monastero di San Lorenzo de El Escorial tale e quale a come Felipe II lo attraversò.
Ma sono molto pochi, gli altri, quelli che hanno avuto trascorsi e metamorfosi come la Moschea di Cordoba, o nella Giralda di Siviglia, o nella cattedrale di Santiago de Compostela. Il catalogo prosegue rifacendosi ad un tempo passato in cui l’edificio viene nobilitato dalla mano dell’architetto Juan del Ribero Rada per passare due secoli dopo per mano dell’esercito, che lo trasforma unendolo al vicino convento di San Agustín e che alla fine porta a una fase di rovina e abbandono. “Possiamo riconoscere in essa qualcosa delle spasmi dei suoi oltre sei secoli di storia.” Un tempo presente in cui l’edificio recupera il suo splendore attraverso il suo recupero architettonico legato a un’intensa attività culturale. Un tempo futuro in cui il Museo affronterà nuove sfide che ancora non immaginiamo.
Lo spazio espositivo è stato organizzato in due percorsi complementari. Un epitelio lineare, cronologico e ordinato in cui le vicissitudini del monastero di San Benito El Real nel corso della sua storia sono state esposte in sequenza. Ed uno nucleare, organico, occasionale e fluido in cui si sono riflesse le intenzioni del progetto e l’universo creativo di Juan Carlos Arnuncio, architetto direttore del team incaricato della riabilitazione dell’edificio. Le secolari pareti del Monastero hanno sostenuto il peso del tempo che ha segnato l’evoluzione del complesso architettonico, mentre lo spazio centrale più snello e flessibile ospitava “capsule con testi, disegni, fotografie e modelli. “Il montaggio, ispirato al caffè di velluto e seta di Lilly Reich, ha dato forma sottile al tempo sospeso in cui si svolge il mondo delle idee. L’essenzialità della proposta ha posto l’accento sul contenuto, generando strutture quasi trasparenti che valorizzavano il materiale esposto. Un tempo condensato, costruito attorno ai riferimenti artistici, architettonici e vitali dell’autore, dotato dell’alone di mistero che avvolge la gestazione di ogni creazione artistica.” Ecco come si è sviluppata la storia architettonica del Museo e ci delinea così una sua “metamorfosi permanente”. Al di sotto un’altra linea che sottolinea i fatti in maggior misura “rilevanti della città di Valladolid e di personaggi importanti che hanno camminato per le sue strade nel corso dei secoli” Si intravede una “terza linea che espone altri eventi di natura più universale che aiutano a comprendere il contesto di ciascuno dei tempi dell’edificio”. E questa termina nel 2002, anno in cui il Museo ha aperto le sue porte al pubblico, e di cui quest’anno (2022 anno della Mostra cui si riferisce il catalogo) si celebra il ventesimo anniversario.
Chi è Miriam Ruiz Íñigo
(Valladolid, 1974)
Architetto della Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Valladolid (2001), specializzato in Edilizia e Urbanistica. Diploma di Studi Avanzati di dottorato presso il Dipartimento di Teoria dell’Architettura e Progetti Architettonici presso l’ETSA di Valladolid (2003). Sufficienza investigativa con l’opera La smaterializzazione del cubo scenico: tre esempi nel teatro d’avanguardia russo. Tesi di dottorato presentata a ETSA Valladolid nel gennaio 2016 dal titolo Il razionalismo intuitivo nell’architettura dell’architetto domenicano Fray Coello de Portugal. Guest Assistant Professor nella disciplina dei Progetti Architettonici presso l’Università degli Interni di Beira (Portogallo) dal 2006 e Professore Associato nella stessa disciplina presso la Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Valladolid dal 2016.
Partecipa regolarmente a convegni e seminari legati al campo dell’architettura del Movimento Moderno e al rapporto tra l’architettura e le altre discipline artistiche.
Sviluppa concorsi, progetti di architettura e iniziative artistiche in collaborazione con l’architetto Juan Carlos Arnuncio dal 2001 ad oggi.
Nel 2022 ha curato la mostra A matter of time al Museo Patio Herreriano di Valladolid in occasione del 20° anniversario dell’istituzione.
di Pietro Bergamaschini
Pietro Bergamaschini
Già dipendente della Camera dei Deputati, esperto d’informatica.
Attualmente Direttore Editoriale del Giornale Online “Italianitalianinelmondo.com”
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