SECOLARI

Se ne è sicuri: non ci sono più la classe politica di una volta, i protagonisti e la qualità del tempo che fu. Complici i funerali e le partecipazioni stereotipate al cordoglio, quello scemare di qualità è dato per scontato. Penso, però, che sia falso. Il nostro problema è che noi – noi cittadini, noi italiani – ci ostiniamo a essere uguali a quel che fummo.
Certo, se si riascoltano o rileggono gli interventi politici di una volta non si può non cogliere l’abisso in quanto a dimestichezza con la lingua italiana. Ma quello ha a che vedere con la scuola, non con la politica. Il che non toglie l’esistenza di un legame fra le due cose: meno si forma e più ci si sforma. Ma a parte l’esprimersi nella lingua italiana, ho l’impressione che nel mendace ricordo del passato si tenda a cancellare troppe cose.
I funerali di Giorgio Napolitano non mancano di sovrabbondanza retorica. Ma anche d’ipocrisia. E non è che si sfugga all’ipocrisia con l’avversità e il parlarne male, perché quella è soltanto l’ipocrisia che sta dall’altra parte. Napolitano è uno degli ultimi, grandi figli del Novecento, secolo in cui tantissimi siamo nati, ma quando erano già sbocciati la pace e il sanissimo e benedetto vincolo esterno. Prima è stato il secolo delle tragedie e delle allucinazioni. E anche quello in cui siamo cresciuti noi è stato il secolo delle divisioni. Di cui, appunto, Napolitano era figlio.
Oggi tutti a dire: il grande europeista. Fu fiero oppositore parlamentare dell’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo, il nonno dell’euro. Fu sostenitore dell’eurocomunismo, con francesi, portoghesi e spagnoli che la storia ha seppellito. Tutti a dire: l’amico degli Usa e dell’Occidente. Fu amico dell’Urss e tale rimase anche dopo l’invasione di Praga. Che non condannò lui, ma il Pci. Avendo plaudito quella di Budapest. Fu il responsabile dei rapporti d’affari con l’Urss, ovvero del sistema che generava tangenti all’estero, confluenti con i finanziamenti diretti. Ma è demenziale pensare di addebitare queste cose a Napolitano, perché quelle erano le caratteristiche del secolo. Come è ipocrita cancellarle.
Non era un “comunista liberale”, che è come dire un “prete laico”. Vedeva gli errori comunisti, ma sentiva che nessuna salvezza poteva esistere fuori dal partito, come fuori dall’ecclesia. La classe politica che mise il partito avanti all’onestà delle idee non è in sé ammirevole. Anche se tale può apparire nella stagione in cui ciascuno fa il proprio partito e ci mette anche il nome del casato. In quelle condizioni fare politica – ovvero tenere vivo il conflitto nel proprio partito, trovare appoggi in altri e non rompere né il proprio né l’altrui – richiedeva destrezza. Napolitano che ammira Craxi non se la può cavare facendo prima un governo con Craxi e poi uno con Almirante, o viceversa. Cosa che oggi s’usa e getta.
Era migliore, quel mondo? No, è migliore il nostro. Gli interpreti del secolo diviso si videro cadere in testa i macigni del Muro di Berlino. Non seppero vedere la fine del comunismo, ma capirono che come comunisti erano finiti. E chi aveva fieramente avversato il comunismo non seppe vedere il cambio di spartito che quel crollo innescava. Il nostro mondo è migliore, ma noi siamo sempre gli stessi: pronti a tutto pur di non fare i conti con gli errori commessi, pronti ad abboccare a qualsiasi racconto storico pur di non fare i conti con la Storia. Il Paese che fu fascistissimo e poi si volle raccontare in armi nella Resistenza. Che si unì contro il volere del papato, ma volle raccontarsi che lo fece con fede cristiana. Che baratta il voto con l’avere per sé un brano di spesa pubblica e pretende che corrotti ed evasori siano sempre gli altri.
Si era già estinto il filone di derivazione risorgimentale. Si estinguerà presto il filone comunista. Si è stinta la scuola del cattolicesimo sociale. E capita perché stiamo meglio e si suppone non serva più pensare alla politica, preferendo il trasformismo ipocrita. Che, per non migliorare, resta una strada avvincente.
Articolo pubblicato sul sito www.davidegiacalone.it
L’immagine è un’opera di Pawel Kuczynski
di Davide Giacalone
Dal 1979 in poi, mentre continuava a crescere il numero dei tossicodipendenti, si è trovato al fianco di Vincenzo Muccioli, con il quale ha collaborato, nella battaglia contro la droga.
Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana.
Dal luglio1981 al novembre 1982 è stato Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dal 1987 all’aprile 1991 è stato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, che ha assistito nell’elaborazione dei disegni di legge per la regolamentazione del sistema radio-televisivo, per il riassetto delle telecomunicazioni e per la riforma del ministero PT, oltre che nei rapporti internazionali e nel corso delle riunioni del Consiglio dei Ministri d’Europa.
È stato consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.
Dal 2003 al 2005 presidente del DiGi Club, associazione delle Radio digitali.
Nel 2008 riceve, dal Congresso della Repubblica di San Marino, l’incarico quale consulente per il riassetto del settore telecomunicazioni e per predisporre le necessarie riforme in quel settore.
Nel maggio del 2010 ha ricevuto l’incarico di presiedere l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’innovazione, dipendente dalla presidenza del Consiglio. Nel corso di tale attività ha avuto un grande successo “Italia degli Innovatori”, che ha permesso a molte imprese italiane di accedere al mercato cinese. Con le autorità di quel Paese, crea tre centri di scambio: tecnologia, design, e-government. Nel novembre del 2011 si è dimesso da tale incarico, suggerendo al governo di chiudere la parte improduttiva dell’Agenzia, anche eliminando le sovrapposizioni con altri enti e agenzie.