C’ERA UNA VOLTA IL SINDACATO . . .

di | 15 Ott 2023

E’ passato un anno dall’insediamento del Governo a guida Giorgia Meloni, il primo con una ampissima maggioranza, di “destra”, con prospettive di azione in una intera legislatura.
A sinistra invece, passato lo shock iniziale, le criticità sembrano essersi cristallizzate in un nulla di fatto, soprattutto nel campo delle politiche attive e del lavoro in generale, sia per quanto riguarda l’opposizione che la proposizione.
È di questi giorni, in particolare, la vicenda del sindacato di Maurizio Landini, la CGIL, che si è ritrovato sulle prime pagine dei giornali per una storia di licenziamenti in virtù del famigerato JobsAct di renziana memoria.
Il fatto: Gibelli, storico portavoce del sindacato, sin dai tempi di Cofferati e Camusso, è stato “licenziato per giustificato motivo “ e proprio con quella riforma contro cui il sindacato sta organizzando un referendum abrogativo”. Maurizio Landini si è affrettato e affannato a spiegare che il licenziamento si è reso necessario a causa di una riorganizzazione interna “che non può più permettersi il lusso di un portavoce”.
Ma un sindacato che licenzia perché non ha risorse sufficienti è l’ennesima conferma, semmai ce ne fosse bisogno, della profonda e inesorabile crisi di questa istituzione.
Tutte le principali organizzazioni sindacali hanno fatto registrare, già dal 2000 al 2017, una perdita che supera i 300.000 iscritti.
La CGIL è il sindacato che ha avuto il calo maggiore, ma “la fuga” delle deleghe è importante anche per la CISL. Una curva la cui discesa non si arresta e che coinvolge tutte le sigle in un vero e proprio crollo, che nel suo ammontare complessivo riguardante il dato unitario CGIL CISL E UIL, ha portato alla perdita di oltre mezzo milione di tesserati.
Vale la pena interrogarsi sulle cause di tanta disaffezione. Certo la crisi ha radici profonde, arriva dagli anni 80 e da una concertazione politica basata soprattutto sulla contrattazione reddituale e relazioni industriali volte a disarmare il dissenso, lo scontro, la critica, la “lotta”. La concertazione sembrava la soluzione ideale per evitare il rapporto conflittuale tra sindacati e governo, attraverso consultazioni preventive con le parti sociali, prima di operare scelte economiche.
Lavoro, salari, previdenza sociale, politiche fiscali, finanza pubblica e politiche economiche, tutto avveniva attraverso la pratica della concertazione.
Per i sindacati inizia così un periodo di corresponsabilità in tutte queste scelte, dove il ruolo della critica o dell’opposizione deve per forza essere calmierato per poter partecipare ai tavoli di contrattazione. Diminuiscono gli ambiti e le modalità di intervento. Si ritrovano così a presidiare un territorio sempre più limitato, grazie anche a scelte opinabili come le limitazioni agli scioperi. Il sindacato si trova, a mano a mano, confinato alla “fabbrica”, alla conservazione dei posti già tutelati e dei diritti già acquisiti, come le pensioni. L’azione sindacale si ingabbia sempre più in una “coltivazione di orticello” dai confini sempre più ristretti. Si gioca in difesa, nella convinzione che “difendere il fortino” sia l’unica imprescindibile priorità.
Nel frattempo però, è esplosa la globalizzazione, la rete, il mondo si è ritrovato tutto insieme e contemporaneamente nello stesso luogo, anche se virtuale. E in questo nuovo luogo sono nati, grazie alla tecnologia, nuovi modelli di lavoro, di impresa, di attività, di necessità, di opportunità.
I sindacati invece sono rimasti fermi, a guardare un mondo cambiare vorticosamente, a presidiare i cancelli delle ultime fabbriche sopravvissute alla crisi economica del 2009. A mantenere posizioni che in fondo hanno esaurito il loro ruolo in questo nuovo contesto sociale. I paradigmi su cui poggiava tutta la concertazione del ‘900 sono velocemente stati superati da una realtà che non avendo precedenti ha disorientato non solo i sindacati ma l’intero apparato sociale.
Ad aggravare la situazione, i due anni di pandemia che per necessità hanno spinto fortemente l’acceleratore sulla transizione al digitale di tutto ciò che può essere digitabile. Dalla scuola alla PA alle imprese pubbliche e private, tutti hanno dovuto attrezzare in pochissimo tempo una tecnologia che consentisse il proseguimento delle attività e delle produzioni anche in lock down.
Questo, se da un lato ha consentito il salto quantico necessario all’avvento della nuova era e l’evoluzione della società da un punto di vista tecnologico, dall’altra ha lasciato una classe dirigente, amministratori e decisori pubblici, non propriamente “nativi digitali”, spiazzata e inadeguata a gestire la mutazione.
Sono nate categorie di lavoratori e mestieri che non esistevano fino a 3 anni fa, oppure non rappresentavano una platea così vasta. Il cosiddetto smart working o lavoro agile, gli orari flessibili, la rete internet che prepotentemente prende in mano la gestione del mondo del lavoro e delle prestazioni fuori dagli schemi e dagli strumenti abituali e infine l’Intelligenza Artificiale con i suoi nuovi “incubi” lavorativi.
Questo è un modo di lavorare difficilmente comprensibile per una generazione che ha impostato la vita sociale di intere nazioni sulla mobilità per raggiungere fabbriche o uffici. Talmente difficile da capire che non riesce a chiedere (ma neanche a riconoscere quali siano) nuovi diritti e nuove tutele per chi invece , obtorto collo, è stato costretto ad adeguarvisi. La scuola, la PA, i trasporti, le aziende, per non essere travolti dallo tsunami della pandemia hanno dovuto attingere a tutte le opportunità delle nuove tecnologie, ma il nuovo ambiente non ha regole ed è quindi impossibile (al momento) definirne limiti e abusi o sfruttamenti.
I sindacati, in cui la componente generazionale è determinante vista la scarsissima partecipazione dei giovani, si sono ritirati “sull’Aventino”, a presidiare gli ultimi territori: pensioni e fabbriche. Due luoghi destinati inevitabilmente a profonde trasformazioni e non troppo lontane. Faticano a riconoscere e capire le nuove competenze, le nuove esigenze, sia del mondo datoriale che di quello operativo. CGIL, CISL e UIL hanno così perso i loro riferimenti di sicurezza, il senso del loro ruolo.
L’emorragia di iscritti deriva da questo. Le nuove generazione che soffrono la mancanza di una seria politica attiva non hanno nessuna fiducia in un istituto culturalmente lontano dalla loro realtà. In questi anni la generazione dei giovani è stata praticamente ignorata dalle scelte governative, dalle politiche attive. Nonostante le retoriche denunce sulle fughe dei cervelli, sui giovani globetrotter che seguono il lavoro in ogni posto del mondo, la questione giovani rimane IL nodo irrisolto dell’azione sindacale.
Arroccati su pensioni e lavoratori dipendenti – soprattutto di grandi aziende- dopo aver contribuito all’approvazione di leggi lavoricide come la famigerata “Fornero”, con un’idea dell’Europa cancellata dal recente colpo di spugna della guerra in Ucraina, i sindacati sono di fronte a un bivio: proprio a fronte dei profondi cambiamenti della società italiana (e globale) di questi ultimi 3 anni in cui pandemia e guerra hanno radicalmente modificato il modo di vivere e lavorare di tutti.
E con una nuova ideologia politica al Governo, che ha sposato molte delle tematiche abbandonate dalla sinistra in questi ultimi anni, una istituzione come il sindacato si è ritrovata paradossalmente ad essere abbandonata proprio da quella massa che avrebbe dovuto tutelare.
Secondo uno studio proprio della CGIL, nel 2043 la popolazione in età da lavoro, ovvero quella contenuta nella fascia 15 – 64 anni, sarà inferiore a quella attuale di 6,9 milioni di persone. Quasi 7 milioni di lavoratori in meno in Italia mentre secondo la rilevazione 2022 della CGIA di Mestre, il numero delle pensioni erogate in Italia ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti: 22 milioni 759mila assegni pensionistici a fronte di 22 milioni 554mila lavoratori attivi. Le pensioni sorpassano dunque gli stipendi di +205mila unità.
Secondo le previsioni dello studio, a vent’anni da oggi il numero di italiani residenti segnerà -3 milioni rispetto al dato attuale. I giovani saranno quasi un milione in meno (-903 mila), le persone in età da lavoro saranno, come anticipato, quasi sette milioni in meno (-6,9 milioni) e gli anziani saranno quasi cinque milioni in più (+4,8 milioni).
Dall’altro lato la denuncia del Ministro del Lavoro, Marina Calderone sulla attuale disponibilità di un milione di posti di lavoro di cui non si trova manodopera.
Con queste nuove sfide, come dovrà ripensarsi il sindacato?

L’Immagine è un’opera di Otto Griebel, Die Internationale, 1930

 

di Mira Carpineta