I cinesi disposti a riprendere il dialogo con gli americani: «Ma su Taiwan nessuna pietà»

I generali cinesi parlano e lanciano segnali (duri ma aperti al dialogo) anche agli avversari americani. A Pechino è in corso il Forum Xiangshan, la riunione internazionale sulla sicurezza che non si svolgeva dal 2019, a causa della pandemia.
1) la Cina è senza ministro della Difesa da quando il generale Li Shangfu è scomparso a fine agosto; solo la settimana scorsa il Partito ha annunciato in una riga la sua rimozione ma non ha ancora nominato un successore. Dev’essere una scelta difficile se Xi Jinping non l’ha presa in tempo per questo Forum militare, che tradizionalmente è presieduto proprio dal ministro della Difesa. Ci si chiede che cosa stia succedendo al vertice dell’Esercito popolare di liberazione, dopo che la scorsa estate sono stati silurati (pare per corruzione) anche il comandante e il commissario politico della forza missilistica, che controlla l’arsenale nucleare.
2) Il ministro Li, nei suoi sei mesi di incarico prima di essere ficcato in un buco nero, non aveva mai accettato di parlare con il capo del Pentagono Lloyd Austin. Anche i comandi operativi delle due forze armate rivali hanno chiuso da molti mesi le linee di comunicazione: situazione ad alto rischio se si pensa alle centinaia di incontri ravvicinati nel Mar cinese meridionale (l’ultimo la settimana scorsa, quando un caccia cinese ha sfiorato un bombardiere B-52 americano volandogli a fianco a una distanza di tre metri). Il Forum Xiangshan è l’occasione per una ripresa di contatto politico tra gli avversari. Washington ha inviato una delegazione guidata da Cynthia Xanthi Carras, «Principal Director» al desk Cina-Taiwan dell’ufficio del vice sottosegretario alla Difesa. Una squadra di livello sufficiente a ristabilire i canali di contatto. Per la Cina ha parlato subito il generale Zhang Youxia, vicepresidente della Commissione militare centrale, quindi il numero due nella catena di comando dopo il presidente Xi Jinping. Discorso avvolto da messaggi in codice quello di Zhang: in sala c’è come ospite di riguardo il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il compagno cinese ha detto subito che «la Cina approfondirà cooperazione e coordinamento strategico con la Russia».
Ma ha aggiunto un segnale di apertura al Pentagono: «Sulla base del reciproco rispetto, in nome della coesistenza pacifica e di una cooperazione vantaggiosa per entrambe le parti, siamo disposti a sviluppare collegamenti militari con gli Stati Uniti». Poi di nuovo una messa in guardia per gli avversari: «… ci sono certi Paesi che continuano a seminare turbolenze nel mondo, interferendo negli affari interni di altre nazioni». Il ragionamento tortuoso è arrivato alla conclusione con un monito sul «cuore dell’interesse nazionale cinese»: Taiwan. Il generale Zhang ha detto che «Le nostre forze armate non mostreranno alcuna pietà in caso di tentativo di separare l’isola dalla Repubblica popolare cinese». Frase dura, ma i pechinologi, guardando nell’archivio delle dichiarazioni cinesi, hanno osservato che le parole sono meno aggressive di quelle usate lo scorso giugno dall’allora ministro Li Shangfu, che aveva giurato di combattere «a tutti i costi» il separatismo e riferendosi agli americani aveva sfoderato un vecchio proverbio: «Agli amici che ci rendono visita offriamo buon vino; ma quando si presentano sciacalli e lupi li affrontiamo con il fucile». Almeno il fucile, il generale Zhang lo ha lasciato in armeria nel suo discorso di oggi.
dal sito www.corriere.it