Scosse di assestamento post-globalizzazione

di | 1 Nov 2023

Non esiste un fronte che si oppone all’Occidente, ma semplicemente una coincidenza temporanea di interessi tra paesi molto distanti da tutti i punti di vista come lo sono tra di loro Russia, India, Cina, Brasile o Iran. Gli Stati Uniti da tempo si stanno adeguando a un mondo liquido e resta solo l’Europa spaesata

È difficile analizzare la situazione internazionale odierna quando si perde di vista il quadro di riferimento globale. Pur restando alla larga da qualsivoglia teoria del complotto, non è difficile osservare che diversi fatti di inaudita gravità accaduti negli ultimi anni, anche se vanno letti nei loro contesti geografici e storici, sono legati da un filo conduttore. Che rimanda alla transizione dalla globalizzazione degli anni ’90, che era subentrata alla Guerra Fredda creando nuovi assetti geopolitici, al multipolarismo a blocchi variabili.

A differenza dello schieramento ideologico della Guerra Fredda, ora si tratta di interessi contingenti tra paesi che vorrebbero dirimere la supremazia mondiale, o almeno regionale, con le potenze occidentali storicamente detentrici. Non si spiegherebbe se non la sintonia tra Iran, via Hezbollah, e Hamas. Sciiti e sunniti storicamente nemici che trovano un comun denominatore nello scontro con Israele. Più in generale, l’avvicinamento tra Iran e Arabia Saudita potrebbe porre fine a secoli di ostilità intra-mussulmana che li ha indeboliti nei confronti dei nemici esterni. Anche l’alleanza, soprattutto economica e politica, tra Cina e Russia è un inedito, rispetto a decenni se non secoli di reciproca diffidenza. Ancora, la neutralità di grandi potenze del Sud globale come India e Brasile sono recenti, rispetto all’allineamento precedente quasi automatico con gli Stati Uniti. Vanno distinte però le aspirazioni geopolitiche alimentate dagli eserciti, come l’invasione russa dell’Ucraina, dalla voglia di emancipazione politica sulla scena internazionale come tenta di fare la diplomazia di Lula.

La dimostrazione della grande mobilità rispetto ai blocchi del passato è l’avanzato dialogo tra Israele e Arabia Saudita per normalizzare i loro rapporti. Stabilire uno scambio di ambasciatori equivale, nel diritto internazionale, al reciproco riconoscimento della sovranità e quindi dell’esistenza degli Stati. L’ultima cosa che Hamas vorrebbe, perché se l’Arabia Saudita, punto di riferimento religioso del mondo sunnita, riconosce il diritto all’esistenza di Israele la loro linea che predica l’eliminazione dello Stato ebraico vacilla. È questo uno dei motivi, se non il principale, della scelta dell’attacco criminale contro i civili israeliani dell’7 ottobre. La risposta ingiustificabile di Israele contro i civili di Gaza, sempre secondo il diritto internazionale, è servita però a congelare le trattative tra Ryad e Tel Aviv e rischia di fare saltare tutta la rete di relazioni tra lo Stato ebraico e il mondo arabo.

Non lontano da questo scenario, nel Nagorno Karabach a maggioranza armena, si sta consumando l’ennesimo pogrom contro questo popolo ancora una volta obbligato a scappare per salvarsi la vita anche se “difesi” dai soldati russi, che hanno invece scelto di stare con l’Azerbaigian filo turco da sempre. Più che di una Terza guerra mondiale a pezzi siamo di fronte a scosse di riassestamento dopo il terremoto che ha portato al ridimensionamento dei pesi tra gli Stati coinvolti nella globalizzazione. Le apparenze però ingannano, non esiste un fronte che si oppone all’Occidente, ma semplicemente una coincidenza temporanea di interessi tra paesi molto distanti da tutti i punti di vista come lo sono tra di loro Russia, India, Cina, Brasile o Iran. Gli Stati Uniti da tempo si stanno adeguando a un mondo liquido e resta solo l’Europa spaesata, arroccata su passati privilegi e ancorata a un discorso generico sui diritti umani, reso poco credibile dalla passata politica coloniale e post coloniale nei confronti ad esempio dell’Africa.

Anche le migrazioni sono figlie del disordine globale, non armi contro l’Occidente come qualche imprenditore della paura declama. In realtà, di cosa succede all’interno dei paesi europei interessa molto poco, la posta in gioco è sui territori considerati marginali fino a poco tempo fa e diventati ora terreno di scontro per gli aspiranti a diventare nuovi punti di riferimento globale.

dal sito www.huffingtonpost.it